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I diritti politici delle donne: diritti a metà e importanza della lotta

Le minoranze sociali hanno sempre dovuto lottare duramente per ottenere diritti fondamentali come quelli politici. Nella storia italiana di occasioni per “concedere” i diritti politici alle donne ce ne sono state molte; tuttavia, nessuna di esse ha mai avuto successo. Infatti, i pieni diritti politici sono stati conquistati dalle donne italiane e non “concessi”.

Il 30 gennaio 1945 il Consiglio dei ministri italiano delibera in favore del suffragio femminile. Una maggioranza schiacciante era d’accordo nel conferimento dei diritti politici attivi; tuttavia, non tutti i partiti si dimostrarono ben disposti a questa decisione. I principali partiti contrari al suffragio femminile erano tre: il partito d’azione, il partito liberale e il partito repubblicano. È interessante notare come i tre partiti con la maggioranza dei contrari appartenevano a diverse fazioni politiche (da estrema sinistra al centro/centro-destra) confermando come il sessismo e la sopraffazione maschile sulle donne fosse trasversale rispetto al posizionamento politico. Il 1° febbraio 1945 viene emanato il decreto legislativo luogotenenziale n.23 (decreto Bonomi) che conferiva il diritto di voto alle donne maggiorenni (la maggiore età all’epoca si otteneva al compimento del 21° anno di età) ad esclusione delle prostitute che esercitavano la professione al di fuori delle case chiuse statali e alle suore di clausura. Questo decreto non menziona in nessun modo la possibilità ed il diritto delle donne di essere elette, regolamentando esclusivamente l’elettorato attivo.

Il 1° febbraio 1945 siamo dunque ancora lontane da ottenere pieni diritti politici, il decreto infatti sancisce un diritto a metà, tradendo una profonda diffidenza da parte degli uomini (al potere e non) nell’affidare incarichi di governo alle donne. Tuttavia, le organizzazioni per i diritti delle donne protestarono e fecero sentire la loro voce contro questa regolamentazione di diritti mutilati. In particolare, l’Unione donne italiane (UDI) mandò un telegramma a Bonomi l’11 febbraio 1945 pretendendo il completamento dei diritti politici delle donne con il diritto di eleggibilità. Per ottenerlo si aspettò più di un anno. Infatti, il 10 marzo 1946 con il decreto legislativo luogotenenziale n.74 si ottennero diritti politici pieni. Da allora le donne dai 25 anni ebbero la possibilità di proporsi per ricoprire incarichi politici ed essere elette. In questa stessa data vi fu una prima occasione per le donne di esercitare questi diritti appena conquistati tramite le elezioni amministrative che si tennero proprio in quella data.

 Ninetta Bartoli il giorno della sua elezione 

Per la prima volta nella storia italiana vennero elette delle sindache, tra cui Ninetta Bartoli, la prima sindaca italiana che amministrò per 12 anni il suo comune di nascita, Borutta in provincia di Sassari. La figura della sindaca Bartoli grazie alle sue opere pubbliche è un grandioso simbolo della vittoria delle donne nella politica. Ella, infatti, costruì le prime case popolari, le scuole materne ed elementari, la prima casa di riposo e si rese artefice di tutta una serie di iniziative per creare posti di lavoro qualificati alle donne. Tutte queste opere pubbliche sono state fondamentali per alleggerire le donne dai lavori di cura non salariati e per creare posti di lavoro occupabili dalle donne, consentendo una grande opportunità di emancipazione.  

La maggior parte delle donne italiane poté andare a votare al referendum del 2 giugno del 1946 sulla scelta fra monarchia e repubblica. Le italiane e gli italiani decisero di diventare cittadine e cittadini abbandonando il precedente status di suddite e sudditi. Tuttavia, fino a qui non è ancora opportuno parlare di suffragio universale femminile. L’esclusione delle prostitute che esercitavano la professione fuori dalle case chiuse statali e delle suore di clausura rimase in vigore probabilmente fino al 1947 con la legge n.1058, quando furono abolite le restrizioni al voto per diverse categorie di individui.

La lunga storia del voto alle donne che abbiamo ripercorso fin qui ci insegna parecchie cose. Innanzitutto, aspettare che i diritti piovano dall’alto, da parte di chi detiene il potere non è una buona strategia. Gli uomini che occupavano i posti di potere, infatti non sono stati in grado di dare i pieni diritti politici alle donne, ma si sono limitati a concedere dei diritti a metà. Dunque, si era ben disposti alla possibilità che le donne votassero i propri rappresentanti, ma non a condividere i ruoli di potere, concedendo alla possibilità che le donne potessero essere elette. L’elezione passiva oltre ad essere un passo importante per la giustizia sociale, si è rivelato fondamentale su un piano pragmatico. Come ci ha dimostrato il caso della prima sindaca donna eletta in Italia, come ci hanno dimostrato le donne dell’UDI che hanno lottato per ottenere ciò che ci spettava di diritto è necessario partecipare per ottenere i risultati. È stato importante lottare in prima linea per giungere ad una completezza dei diritti politici ed è tutt’ora importante sostenere le donne che lottano per le donne.