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Le risposte dei candidati e delle candidate

Paolo Benvegnù

  1. Dopo aver denunciato mio marito per maltrattamenti ho perso il lavoro perché dopo i 3 mesi di aspettativa retribuita non ero ancora al sicuro e non potevo riprendere le attività normali. Voglio lavorare, ed ho 3 bambini piccoli. Cosa può fare lei per me?

Credo che in casi come questo si debba intervenire su più piani.

Il primo è la messa in sicurezza della donna e dei bambini, il secondo è quello di agire per garantire reddito e lavoro.

Di questi aspetti naturalmente devono farsi carico i servizi sociali territoriali e strutture dedicate.

Nel bilancio regionale devono essere stanziati i fondi necessari da collocare nei diversi comuni, perché in casi come questo, una donna non si debba sentire sola.

Dopo 15 anni di Sportello Sociale, di volontariato a servizio delle fasce più deboli della società, e le donne sono le prime a subire le condizioni di precarietà, oppressione e sfruttamento sempre più diffuse, la risposta necessaria, immediata, lo so per esperienza, è quella di rompere la solitudine.

 

2. Dopo aver denunciato mio marito per maltrattamenti sono rimasta senza casa e adesso senza le garanzie di un lavoro fisso nessuno mi affitta un appartamento. Cosa può fare lei per me?

Come Sportello sociale, stiamo proprio seguendo, in questi giorni, il caso di una nostra compagna operaia che ha perso recentemente il lavoro, picchiata dal marito, che con i sui due figli, è sotto minaccia di sfratto da parte del fratello che la ospita.

Vanno creati, all'interno della graduatoria per le case popolari o in concessione, percorsi ad hoc per situazioni di emergenza come questi: la legge regionale sull’edilizia residenziale dovrebbe essere cambiata anche in questo senso, destinandome (?) riservando alloggi, per dare risposte immediate a situazioni così gravi.

 

3.Ho denunciato mio marito diverse volte, ma lui ancora mi perseguita, mi controlla, mi minaccia. Ho paura, cosa può fare lei per me?

Posso indicare, dove è possibile, le istituzioni e le associazioni nei territori dedicate, in questi casi servono competenze adeguate, non basta e qualche volte non serve solo rivolgersi alla polizia.

 

4.Ho denunciato mio marito per maltrattamenti, e fortunatamente il giudice ha disposto il mantenimento per i miei figli, ma lui si è licenziato e non ha mai versato nulla. Io ho il mutuo da pagare e 2 figli piccoli, cosa può fare per me?

Posso indicare la strada di rivolgersi ad un giudice per un decreto ingiuntivo in urgenza, in questi casi si può bloccare anche il tfr. Naturalmente, se questo non porta a risultati concreti ed in breve tempo, bisogna rivolgersi al pubblico. Anche la Regione dovrebbe prevedere, per casi come questi, fondi da stanziare, anche come prestiti restituibili.

Si possono chiedere aiuti x affitti e bollette. Spesso ci sono capitati, nei nostri Sportelli Sociali, situazioni simili e abbiamo agito in questo senso. Bisognerebbe anche che, la regione, come è previsto per chi perde il lavoro o è in cassa intergrazione, facesse degli accordi con le banche, per la sospensione del mutuo per casi come il suo.

 

5. Ho subito maltrattamenti dal mio ex compagno, soprattutto durante la gravidanza. Quando è nato il mio bambino sono scappata dal centro di accoglienza dove mi trovavo e così ho perso la residenza. Mi ha ospitato un centro antiviolenza in una struttura protetta per molto tempo, adesso cosa può fare lei per me?

L'importanza delle strutture che le hanno salvato la vita sua e di suo figlio, mi pare evidente, e dunque credo sia necessario creare le condizioni affinché lei possa usufruirne per il tempo necessario.

Durante l'ospitalità vanno supportati anche con risorse concrete, e in questo la regione può fare moltissimo, percorsi di autonomia lavorativa e abitativa, anche extraterritoriali, anche oltre regione, per la sua sicurezza e quella dei suoi figli.

Agire in questo senso, finanziando e favorendo progetti concreti territoriali e extraterritoriali, per un lavoro di rete sul territorio più prossimo ma anche che guardi a livello nazionale

 

6. Ho denunciato mio marito per maltrattamenti, ed è stato condannato per ben due volte, ma il giudice ha affidato mio figlio a lui. Cosa può fare per me?

Le consiglierei di rivolgersi ad uno sportello legale di enti o associazioni che seguono i casi come questi.

È chiaro che per affrontare un ricorso contro la decisione di un giudice, si ha bisogno di rivolgersi a persone competenti e di fiducia, elementi che sempre più spesso sono all'interno di istituzioni e associazioni che sul territorio affrontano problematiche come queste, spesso però senza risorse economiche, e quindi che affrontano problemi con estrema difficoltà.

Un presidente di Regione, dovrebbe facilitare con risorse adeguate, la creazione di reti territoriali proprio di quelle associazioni che aiutano le donne come lei ad opporsi a simili "ingiustizie".

C'è bisogno di risorse economiche e dunque di progetti che la regione deve pensare e favorire come istituzione, nei diversi territori e comuni, per non lasciarla da sola nella disperazione della perdita del proprio figlio, affidato ad un padre violento.

Come volontario nello sportello sociale che frequento a Padova, mi sono imbattuto purtroppo, in ingiustizie come questa.

 

7. Sono assegnataria di una casa ater, ma ho denunciato il mio compagno maltrattante e ho bisogno di spostarmi per proteggermi. Cosa può fare lei per me?

Io penso che le donne che subiscono violenza, debbano poter accedere a percorsi immediati di protezione, per poter salvare la propria vita e quella dei figli. 

È importante che la regione, attraverso il finanziamento dei comuni del territorio, favorisca la riserva di alloggi di fuga, gestiti da associazioni e istituzioni che affrontano con competenza questi problemi, in stretta collaborazione con i servizi sociali territoriali.
Spesso mi è capitato di incontrare donne che, fuggite per salvarsi la vita, non sapevano dove andare: la presenza di associazioni sul territorio ha fatto la differenza per la loro incolumità, così come la presenza di progetti attivi di protezione e di reinserimento sociale, ha permesso loro, anche nella sofferenza, di avere una nuova possibilità di ricominciare.

8. Nonostante per legge avrei diritto ad un posto in una casa di edilizia popolare, sono anni che attendo perché le pratiche burocratiche sono ferme. Cosa può fare lei per me?

Questo è un tema che da anni affronto allo sportello sociale dove con altri volontari, seguiamo le famiglie in emergenza abitativa.

Io credo che la sua domanda di casa popolare si sia arenata per diversi fattori

Negli anni, la regione ha dismesso gli investimenti sull'Edilizia Residenziale pubblica, e questo ha portato ad avere sempre più appartamenti chiusi per mancate manutenzioni e sempre più appartamenti messi in vendita.

Nonostante le graduatorie si allunghino sempre di più, le case sono sempre di meno.

Nonostante le difficoltà a pagare gli affitti, con gli stipendi più bassi d'Europa, le case popolari sono sempre meno per chi ne ha diritto e bisogno, per chi è in graduatoria e da anni aspetta una casa pubblica.

Basta fare un giro nei nostri quartieri popolari per vedere quanto patrimonio immobiliare pubblico sia in disuso, in decadenza o in vendita, nonostante le emergenze abitative e gli sfratti siano migliaia ogni anno.

Per sbloccare la sua situazione che è comune a migliaia di famiglie nella nostra regione, io penso che si debbano ripristinare importanti investimenti per il recupero delle case popolari che sono oggi chiuse ed inutilizzate; così come si devono fermare le vendite delle case popolari.

In più va programmato un piano di acquisto degli alloggi degli istituti pubblici che stanno dismettendo a prezzi favorevoli, il loro patrimonio immobiliare (vedi INPS e grandi gruppi bancari e assicurativi)

Solo invertendo la rotta delle scelte fatte negli ultimi 20 anni nella nostra regione, in tema di politiche abitative pubbliche, si può dare risposta al suo bisogno e a quello di molte famiglie, di avere una casa a prezzi accessibili.

 

9. Dopo aver denunciato mio marito per maltrattamenti, sono una mamma single lavoratrice. Negli asili nido comunali non c’è posto per mia figlia e non posso permettermi la retta in una struttura privata. Rischio di dovermi licenziare per accudire mia figlia. Cosa può fare per me?

La Regione sostiene con contributi annuali, gli asili nido sia pubblici che privati.

Nel 2020 i contributi sono stati addirittura superiori a quelli degli anni passati a causa della chiusura anticipata per l'emergenza sanitaria che abbiamo vissuto. Nonostante questo, solo 21 bimbi su 100 sotto i tre anni, nella nostra Regione, trovano posto al nido (fonte Regione Veneto-assessorato al sociale), percentuale bassa rispetto alla media europea. Nonostante i servizi per la prima infanzia siano fondamentali per il sostegno alle famiglie e soprattutto alle donne, i fondi che vengono stanziati sono ancora insufficienti sia ad ampliare il numero di bimbi accolti, sia a sostenere le famiglie o le madri nel pagamento delle rette.

Sempre più spesso sentiamo di donne costrette a scegliere tra il ruolo di madri e quello di lavoratrici, nella maggior parte dei casi a causa di mancanza di reddito e di servizi: io credo che tale circostanza parli di un fallimento delle politiche sociali. Per questo io credo che il nostro sistema di welfare nazionale e locale, vada riformato in maniera radicale, pensando anche a leggi regionali che sostengano la genitorialità e il percorso educativo dei figli a partire dalla prima infanzia e che prevedano lo stanziamento di maggiori fondi sia per creare nuove strutture educative, sia a favore delle donne madri e delle famiglie.

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Patrizia Bartelle, candidata presidente regione Veneto per VENETO ECOLOGIA SOLIDARIETÀ

Alessandra Cecchetto, candidata per Venezia.

Fedora Rover, candidata per la Provincia di Padova

(Le risposte sono state concepite come un blocco unitario )

"Mi occupo di violenza contro le donne dall'inizio del mio lavoro in Consultorio (1979).

Cosa si può fare: mettere a disposizione fondi dedicati per ogni comune che consentano il cambio immediato della serratura di casa, l'installazione di sbarre alle finestre (se l'appartamento è al pianterreno o rialzato), la sorveglianza da parte delle FFOO. Finanziare case rifugio di pronta accoglienza (in convenzione o di proprietà comunale) e altre adatte a permanenze per periodi di sei mesi, un anno, con indirizzo segreto; sostenere economicamente i centri donna esistenti e aprirne di nuovi lì dove non ce ne sono, con personale altamente qualificato (avvocatesse, psicologhe, assistenti sociali, educatrici). 

Nei centri per l'impiego riservare alcune decine di posti di lavoro (controllare coi centri antiviolenza il fabbisogno annuo) alle donne che hanno denunciato il proprio marito o compagno per maltrattamenti, affrontato il processo, soggiornato in case protette. Dotare con fondi regionali le FFOO e i Pronto Soccorso di luoghi (almeno una stanza riservata) dove accogliere chi ha subito violenza. Coordinare concretamente e sorvegliare che si applichino i protocolli regione, aulss, comuni, FFOO, magistratura, di contrasto alla violenza contro le donne, le ragazze e i minori.

Non va dimenticata l'azione a lungo termine: quella culturale su tutto il territorio regionale rivolta alle scuole (ripristinare l'educazione sessuale portata avanti per anni dai Consultori Familiari!), fabbriche, Aulss, associazioni sportive, sindacati, partiti agenzie pubblicitarie, radio, televisioni, siti internet, ecc. che contrasti il sessismo, anche attraverso un'azione sanzionatoria delle CPO e dei CUG aziendali. L'azione culturale andrebbe anche estesa al processo che ha animato il dibattito sulla posizione da assumere rispetto alla prostituzione in Svezia, Islanda, Irlanda, Francia che ha portato a non permettere il "libero" esercizio della prostituzione (mestiere dove il rischio di morte violenta è 5 volte superiore al normale), punendo i clienti (non le prostitute) in applicazione della reale parità tra i sessi, del voler contrastare la violenza e della non equità, del pensare che pagando si possa avere accesso al corpo di un'altra personale.

Azioni concrete a supporto delle donne che subiscono violenza sono:

- iscrizione gratuita dei bimbi al nido, scuola materna per reddito(ISEE) o per le particolari necessità contingenti documentate dai servizi sociali comunali.

- inserimento nelle graduatorie per lavori individuati dai centri per l'impiego, riservati a donne che hanno subito violenza domestica o di genere.

- se si tratta di una donna senza casa e con lavoro precario: darle una casa ATER (riservare un congruo numero per queste esigenze).

- in caso di un marito stolker, far intervenire le FFOO: Ammonimento del Questore, con ritiro del porto d'armi, delle armi e munizioni in possesso dello stolker; facendo intervenire il Prefetto, sospensione della patente allo stolker per 3-6 mesi. Sorveglianza della casa da parte delle FFOO; cambio serratura e inferriate alle finestre a spese del Comune di residenza

- in caso di separazione supporto alla donna tramite il centro per l'impiego.

dell'impegno culturale che una donna politica deve attivare.

- concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, da poter così usufruire delle altre azioni di supporto."

"È necessario un impegno non solo economico ma anche di risorse umane per il supporto alle vittime di violenza, solidarietà. È necessario formare i giovani uomini al rispetto e le giovani donne a pretendere rispetto per sé stesse.

Il lavoro delle Vostre associazioni si occupa del problema a 360 gradi, dall'educazione dei giovani, alla sensibilizzazione degli adulti e al supporto sotto tutti i profili delle donne.

Noi siamo già su queste posizioni, le viviamo ed incarniamo con i nostri e le nostre candidate."

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Elena Ostanel

Il tema che ponete è di grande rilevanza e le domande cosi poste dimostrano tutto il lavoro che c’è ancora da fare per permettere alle donne di intraprendere un percorso sicuro di uscita dalla violenza.

Ma quest’anno termina il Piano Regionale e nel nuovo Piano abbiamo l’opportunità assieme di intervenire sulle cause che limitano l’uscita sicura dalla violenza per le donne.

Nel nuovo Piano Regionale 2021-2024 sarà importante:

a) individuare gli obiettivi del triennio, stabilendo le risorse e la loro distribuzione in azioni di prevenzione, formazione, accoglienza e rafforzamento della rete e i tempi di realizzazione;

b) stabilire i criteri per il coordinamento e l'integrazione degli interventi previsti per le azioni di sostegno alle donne e ai loro percorsi di autonomia, con particolare riguardo alla promozione dell'integrazione delle politiche sociali, sanitarie, culturali, dell'educazione, della formazione, del lavoro e della casa;

c) stabilire i criteri per la sperimentazione di interventi e servizi volti a rispondere a nuovi bisogni derivanti dalla violenza di genere ed a introdurre eventuali modelli gestionali innovativi.

Va da sé che questi obiettivi vanno co-progettati con chi da anni si occupa di questi temi, come la rete che voi rappresentate.

Bisogna poi intervenire sulle cause che le domande che ci avete posto portano alla nostra attenzione.

Prima di tutto cercando di potenziare il lavoro di rete tra i soggetti che coprono i vari aspetti che le domande prendono in carico, agli aspetti giudiziari, economici amministrativi e burocratici. Per questo la parola co-progettazione è al centro del lavoro che immagino.

Tra le azioni previste nel piano nazionale sono previste azioni in diversi ambiti: dalla prevenzione alla protezione, alla punizione, alla assistenza e promozione. E a questi ambiti appartengono le domande che esprimono le donne che si rivolgono al CeAV.

Riguardano ad esempio le politiche a sostegno del lavoro femminile, che come sappiamo è gravemente compromesso. Impegnarsi pe diminuire-eliminare il lavoro precario, certo promuovendo leggi nazionali che prevedano ad es il mantenimento del posto di lavoro per le donne vittime di violenza per un periodo sufficiente alla loro uscita dal percorso di aiuto, ma anche azioni regionali che le sostengano prevedendo asili e servizi scolastici che tengano conto dei tempi di lavoro delle donne e viceversa, lavori che tengano conto dei tempi famigliari,  in una parola, azioni di sostegno al percorso di studi delle/dei figlie/i minorenni e maggiorenni, con particolare attenzione alle/ai figlie/i di vittime del femminicidio.

 Ancora a carico della regione immagino l’istituzione di percorsi formativi per il reinserimento delle donne nel mondo del lavoro, perché molto spesso, anche volendo, non possono riprendere il lavoro precedente e dunque in molti casi si rende necessaria una nuova qualifica.

Ma è in particolare sull’emergenza abitativa che la regione può intervenire prevedendo ad es. protocolli di intesa tra Regione, ATER, CeAV e Comuni, che riservino in ogni provincia una percentuale di appartamenti a canone concordato o anche gratuiti per certi periodi, per le donne che escono dai percorsi di violenza e per il loro figli. Spesso infatti restano senza casa, senza lavoro e con i figli a carico.

Ovviamente la regione può e deve intervenire a sostegno dei CeAV, e può intervenire aumentando le risorse economiche a loro destinate, risorse che in questi anni sono sempre diminuite, a fronte dell’aumento delle richieste di aiuto. Le risorse possono essere di diverso genere, da quelle strettamente economiche alla attribuzione, a titolo gratuito in cambio del servizio, di spazi sempre maggiori e sempre più distribuiti nel territorio. Sappiamo quante volte le donne non si rivolgono ai centri perché sono lontani da casa loro e non hanno tempo o possibilità di andarci in sicurezza oppure sono prive di mezzi per arrivarci: molto diffusa è anche la violenza economica sulle donne, ragione di più per pensare ad eliminare il lavoro precario e ad accordare i tempi di lavoro con i tempi di impegno familiare delle donne. La distribuzione degli sportelli, l’aumento delle case rifugio, la regolazione degli affitti, l’emissione di bandi cui partecipare.

Infine la produzione di protocolli di intesa tra regione Comuni Centri antiviolenza sono strumenti che permettono di intervenire in moltissimi ambiti, non ultima la formazione, sempre più urgente e necessaria, a partire dalla formazione nelle scuole di ogni ordine e grado , per combattere fin dall’infanzia la trasmissione di stereotipi culturali che stanno alla base e alimentano la violenza di genere. Infine è importante anche lavorare su chi gli stereotipi li ha già introiettati e dunque agire su tutti coloro che entrano in relazione con le donne vittime di violenza nel loro percorso di fuoriuscita,  dalle Forze dell’ordine (spesso le prime depositarie del problema perché terminali delle denunce delle donne) che devono poi trasmettere la denuncia ai centri e, purtroppo, troppo spesso sottovalutano, agli operatori ed operatrici dei servizi sociali dei comuni, e non ultimo al personale giudiziario.

Esiste nella regione Veneto un protocollo di intesa tra tutti i soggetti interessati al percorso di denuncia e uscita dalla violenza. E’ certamente un atto importante perché stabilisce sia gli attori della rete o delle diverse reti che i loro compiti e le loro funzioni. Sarà mio compito verificare, insieme ai soggetti interessati, quali siano in questa rete, i punti maggiormente “smagliati e fragili” per poter intervenire in maniera mirata.