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Lettera alle istituzioni da parte dei/lle rappresentanti delle scuole superiori di Padova

«Le donne stanno diventando sempre più indipendenti e al tempo stesso responsabili, attive artefici della costruzione del mondo. Ma questa trasformazione fa ancora paura. Da ogni angolo sbucano profeti pronti a scommettere che le donne manderanno in rovina l’amore, e con esso tutta la poesia, la fantasia, la gioia. Finora la nostra civiltà non ha conosciuto altra forma d’amore che quella fondata sull’ingiustizia. […] È così difficile concepire una nuova forma d’amore che non preveda la sottomissione del partner ma una reale uguaglianza?» (testo tratto dall’articolo “It’s About Time Woman Put a New Face on Love”, apparso sulla rivista statunitense Flair nel 1950, scritto da Simone de Beauvoir).


Cos’è la donna? Un “mero surrogato di esaltazione narcisistica”. Anni di storia le hanno cucito addosso un destino di devozione incrollabile al proprio uomo, una totale abnegazione sublimata in virtù. Secoli di sovrastruttura sociale l’hanno relegata al ruolo di sostegno e supporto. I suoi occhi adoranti non sono stati altro che uno specchio di vanagloria machista. Cosa succede quando questa distorta mentalità comincia pian piano a incrinarsi, quando il tanto agognato riscatto si prospetta ogni giorno più vicino? L’uomo, privato del compiacente e docile riflesso di se stesso, si aggrappa disperatamente al passato. Non vuole elaborare il dolore. Ma, in fin dei conti, perchè dovrebbe? L’ego ferito non vuol sentir diniego. Un cieco livore gli pesa sull’animo e lo inabissa in un mare di frustrazione. Cosa fa allora? Ricorre a un controllo ossessivo e maniacale. A una continua pressione. Alla manipolazione emotiva. «Dopo la mia buonanotte, devi filare subito a dormire». «Rimanda la laurea: dobbiamo studiare assieme». «Se tronchi i rapporti con me, io la faccio finita». In questa perversa spirale egotista, la donna non esiste più come insostituibile unicità, come essere umano simile e, al contempo, diversissimo, ma esiste soltanto in relazione all’uomo. Questo è quanto dice Simone de Beauvoir, madre del femminismo. Questo è il fardello che la nostra società porta con sé da troppo tempo. Questo è ciò che noi riteniamo debba essere sradicato. 

 

Oggi (25 novembre, ndr) si celebra la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Oggi, si ricordano tutte quelle donne uccise non solo da un singolo uomo, ma dalla cultura dello stupro e del possesso. Si ricordano le 106 vittime di femminicidio di quest’anno per mano di ex compagni, partner, padri, fratelli, zii, uomini a loro vicini e non solo. Oggi bisogna riflettere sulle dinamiche violente a cui assistiamo quotidianamente, perché la violenza non si declina solo nelle forme fisiche più estreme come l’omicidio o lo stupro, ma anche tramite vessazioni psicologiche, ricatti economici, minacce, persecuzioni. Bisogna precisare, per evitare stereotipi devianti e socialmente dannosi, che queste violenze non sono commesse solo da uomini sbandati, malati di mente, persone che vivono ai limiti della società, ma anche da individui “normali”. Non è sufficiente cercare le cause di questo meccanismo sociale che costringe le donne a vivere in una posizione subordinata nella frustrazione maschile, nella mancata realizzazione personale del singolo uomo, nell’insoddisfazione, ma bisogna riconoscerle più radicate nella nostra società, nell’educazione che, non tutti, ma la maggior parte di noi, ha ricevuto. Se vogliamo interrompere questa dinamica, per cui le donne non vengono viste come “soggetti” ma come “oggetti” da controllare, dobbiamo riflettere sui nostri rapporti, sui nostri comportamenti, scovare i sintomi di una società malata, prevenire l’oggettificazione attraverso la consapevolezza e l’educazione al rispetto e all’affettività. È fondamentale riconoscere che non è amore quello che ti priva di libertà, che chi ama davvero non vuole possedere in modo egoistico, non vuole controllare. Chi ama davvero dona serenità, non angoscia e paura. Chi nega la libertà non ama, distrugge l’interiorità e l’unicità dell’essere umano. Ma c’è speranza. 

 

La violenza sulle donne “è un fatto umano e, come tutti i fatti umani, ha un inizio e avrà anche una fine,” cui però si arriverà solo se tutti noi nella nostra quotidianità, insieme a un sistema di iniziative istituzionali, inizieremo e continueremo a combatterla. A tutti gli uomini perciò diciamo: fate attenzione alle vostre parole, ai vostri commenti, alle vostre affermazioni. Ricordate a quell’amico che il motto di spirito che ha appena pronunciato è fuori luogo, che quel complimento appena fatto, in fondo, un complimento non è. Confrontatevi con le vostre madri, sorelle, amiche, fidanzate, ascoltatele, chiedete loro come prendere attivamente parte al cambiamento perché, davanti all’ennesimo femminicidio, dire solamente “io non sono così” non è una vittoria, minimamente, in quanto la verità è che nessuno dovrebbe essere così. E a tutte le donne: continuiamo a farci sentire, continuiamo a rivendicare i nostri diritti, continuiamo a dire “no” sebbene sia così difficile. Solo così, solo con la vicinanza e il vero supporto potremo raggiungere la vera parità. A tutti i presenti oggi: basiamo i nostri rapporti sul rispetto, l’inclusione, la libertà. Nessuno di noi, mai, dovrebbe sopraffare o essere sopraffatto. Se vediamo un’ingiustizia, una mancanza di rispetto, una violenza o un abuso interveniamo, non rimaniamo ancora una volta spettatori inermi. Se ne siamo vittime, invece, chiediamo aiuto.

 

E infine alle istituzioni: noi chiediamo un’educazione diversa, più inclusiva e più attenta all’affettività, ai rapporti umani, all’accettazione e al rispetto poiché, come ebbe a dire uno dei nostri più grandi giuristi, Cesare Beccaria: «Il più sicuro ma il più difficile mezzo di prevenire i delitti è di perfezionare l’educazione». In quanto studenti e studentesse delle scuole superiori crediamo proprio nella centralità della pedagogia, e che questa debba essere liberata dagli ideali di violenza a cui siamo esposti quotidianamente, per evitare che continuino ad affermarsi nelle generazioni che seguiranno. Necessitiamo di un maggiore ascolto delle nostre voci, di una maggior cura nei nostri confronti, di una maggiore chiarezza rispetto al nostro futuro. È solo con un’educazione costante ed esaustiva, gestita da psicologi e altri professionisti, che potremmo iniziare a vedere dei cambiamenti, imparando a prevenire piuttosto che punire, a mettersi in relazione non in competizione, imparando a riconoscere le peculiarità che contraddistinguono ognuno di noi senza doverle umiliare.

 

I rappresentanti degli studenti delle scuole padovane: Tito Livio, Fermi, Curiel, Cornaro, Galilei, Nievo, Scalcerle, Marchesi, Severi, Calvi, Modigliani, Selvatico e Duca d’Aosta.