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UOMINI CHE AMANO LE DONNE (OGNUNO A MODO SUO)

16 Luglio 2012

È estate e, si sa, arriva il caldo. Col caldo gli animi si eccitano, e succede che le passioni esplodano. È così, stiamo assistendo ad un'esplosione di delitti passionali. Ecco come viene raccontata dai media la strage di donne ad opera di compagni armati incapaci di reggere l'abbandono. Delitti passionali. Cinque in una settimana.


Questa volta il colpevole è il caldo, perché, quando una donna viene uccisa, si cerca sempre una giustificazione: prima in un possibile atteggiamento sbagliato della donna, poi in qualche forma di disturbo psichico dell'uomo, adesso è il caldo. Ma queste spiegazioni non reggono più di fronte ai dati che tutto l'anno e a tutte le latitudini ci accompagnano in modo drammatico.


Al nord spetta un tragico primato: il 47,6% delle donne uccise in Italia (147) nel 2008 vivevano qui. Quello che sfugge, che nemmeno i sociologi riescono a spiegare è: perché la violenza, perché proprio al nord?
L'altra domanda è: perché, come dimostrano le analisi e i dati, nelle politiche della sicurezza manca questa priorità d'azione? Non è soprattutto la mancanza di una priorità culturale?
C'è bisogno di un altro immaginario del rapporto tra i sessi per fermare questo mattatoio. Cambiare la rappresentazione che si dà della donna, sempre più oggetto. Favorire la presenza femminile nel mondo istituzionale, politico e produttivo.
Mancano l'impegno, anche economico per investire nella costruzione di un contesto diverso, un'inversione di tendenza di un'Italia che sta diventando sempre più nemica delle donne. Basta citare la recente sentenza della Cassazione, che annulla la condanna ad un marito violento, perchè le violenze non erano caratterizzate da «abitualità» e perchè «la condizione psicologica della moglie, per nulla intimorita dal marito, era solo quella di una persona scossa, esasperata, molto carica emotivamente».
Un quadro ancora più drammatico se si considera la presenza nel territorio, sempre più alta, di donne immigrate, appartenenti a culture in cui la donna non ha diritti e visibilità, e che una volta in Italia iniziano a progettare una maggiore autonomia.
Come dimenticare Hina, ragazza pakistana, e Sanaa, marocchina, appena diciottenni e uccise dai padri perchè considerate troppo occidentalizzate? Come scordarci di Zineb uccisa a 22 anni dal marito che da sempre la maltrattava?
Ricordiamo lo sdegno che questi fatti avevano destato nell'opinione pubblica, quanto clamore! I media in quei giorni non parlavano d'altro, anche perché era violenza d'altri, altre culture, che non ci apparteneva.


E' facile indignarsi per l'obbligo del velo alle donne musulmane, deploriamo il burqa, ma siamo sicuri che quello che ci spinge è la volontà di garantire ad ogni donna il diritto di fare scelte autonome e libere? Anche quando la donna decide autonomamente di rompere un legame magari violento, la nostra società è in grado di tutelare chi sceglie di cambiare la propria vita e decide di "togliersi il velo"?
Capita invece che quando le donne, musulmane o no, anche le donne italiane, decidono di "togliere il velo" e uscire da percorsi di violenza e di isolamento, non trovino sul loro cammino istituzioni pronte ad accogliere la loro richiesta di aiuto. Sempre più spesso vediamo atteggiamenti giudicanti, basati su pregiudizi e stereotipi che ancora assegnano alla donna la colpa di aver rotto il rapporto anche quando sono evidenti e documentate le violenze ripetute. Troppo spesso sentiamo affermare che il comportamento violento si giustifica col desiderio di emancipazione delle donne. Sempre più spesso sentiamo parlare di ambivalenza delle donne, sentiamo parlare di madri (maltrattate dai compagni) che non tutelano adeguatamente i loro figli perché costrette ad allontanarsi da casa per non subire ancora violenze.

Il Centro Veneto Progetti Donna segue molte situazioni di questo tipo. Diverse sono state le sollecitazioni alle Istituzioni competenti per garantire il rispetto di questi che sono diritti fondamentali delle persone.


Le risposte sono ancora troppo deboli. Ci chiediamo che cosa la nostra società è in grado di fare per la protezione delle donne, cosa deve fare una donna per non avere più paura.

Allora siamo davvero sicuri che siamo contro il velo?