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I Centri Antiviolenza nei tribunali insieme alle donne

02 Luglio 2019

Il 1° luglio 2019 è stata una giornata importante per il Centro Veneto Progetti Donna che ha deciso di accompagnare in Tribunale d’Appello a Venezia una donna in vista dell’udienza fissata per questo giorno.

La signora Anna (nome di fantasia) aveva fatto ricorso in appello a seguito del decreto di udienza civile emesso dalla Giudice per l’affidamento del figlio minore presso la casa del padre; padre che un anno prima era stato condannato in due gradi di giudizio per violenza e lesioni contro l’ex moglie, maltrattamenti in famiglia e violenza assistita.

Risulta agghiacciante il fatto che la Giudice abbia considerato “irrilevante” la doppia condanna penale del padre nel decreto di affidamento del bambino, considerando invece elemento prioritario la “personalità borderline” della madre, definita tale a seguito di una Ctu (richiesta tra l’altro dalla signora per valutare le capacità genitoriali di entrambi) priva di test clinico -psichiatrico specifico e basata sul fatto che la signora in quel periodo stava prendendo degli anti depressivi.

Si tratta dell’ennesimo caso giudiziario in cui l’ambito penale e quello civile sembrano essere due realtà separate; in cui la violenza fisica, le minacce di morte quotidiane, la privazione della libertà, dei soldi e anche del cibo dell’uomo nei confronti della donna (anche in presenza dei figli) non vengono considerati nelle decisioni sui diritti di custodia dei figli.

Il Centro Antiviolenza ha ritenuto di rendere pubblica questa decisione in quanto si configura come una grave violazione della Convenzione di Istanbul, della legge italiana e colpevolizza ulteriormente la donna che ha denunciato le violenze causando quella che viene definita dalla stessa Convenzione di Istanbul vittimizzazione secondaria.

Per tutti questi motivi 21 donne e 1 uomo, operatrici e volontarie, del Centro Veneto progetti Donna, di Telefono Rosa e Cooperativa Iside ieri alle 9.21 del mattino sono partiti dalla stazione di Padova dirette verso Tribunale di Venezia.

La giornata era molto calda e afosa ma nessuna di noi avrebbe mai rinunciato a offrire il proprio sostegno alla donna, seguita dal Centro Antiviolenza ormai da molti anni.

Appena arrivate a Venezia - Santa Lucia ognuna di noi ha indossato la spilla realizzata appositamente per l’occasione da Camilla e Valentina volontarie di servizio civile universale: un piccolo nastro fucsia a simboleggiare la nostra solidarietà e la nostra battaglia a sostegno dei diritti delle donne.

Da lì ci siamo incamminate verso Piazzale Roma dove è ubicato il Tribunale: l’udienza era fissata per le ore 10.45. Siamo entrate in Tribunale e dopo essere state sottoposte ai normali controlli di sicurezza, abbiamo incontrato Anna che era già lì ad aspettarci: i suoi occhi erano grandi, pieni di speranza ma soprattutto felici di vederci.

Assieme ad Anna siamo salite al primo piano e ci siamo disposte nel lungo corridoio che conduce alla sala dove si svolgono le udienze. L’attesa sarebbe stata lunga: l’udienza era la penultima della mattinata. Si respirava un clima di tensione, una tensione però positiva, quella provata da chi come noi crede fermamente in ciò che sta facendo, crede nei diritti delle donne e nei diritti dei bambini e delle bambine. Ci siamo sentite come guerriere per sostenere la signora nella sua battaglia, ma simbolicamente a sostenere tutte le donne che decidono di denunciare le violenze domestiche e a cui spesso non è data giustizia.

L’udienza era a porte chiuse e i pochi minuti di attesa fuori dall’aula sono sembrati lunghissimi.

Quando la porta si è aperta siamo state tutte invitate ad entrare: il Presidente in modo gentile ha tenuto a specificare che l’udienza era a porte chiuse e per questo motivo non siamo potute entrare prima.

Abbiamo ringraziato e siamo uscite tutte dall’aula, seguite da Anna e dall’avvocato.

L’avvocato era soddisfatto di come si era svolta l’udienza e anche la signora era sorridente, più rilassata e fiduciosa su un esito positivo.

La sentenza sarà emessa entro un massimo di dieci giorni e ci aspettiamo che ribalti quella che per noi è un’ingiustizia che colpisce una donna e il suo bambino.