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QUEER!

21 Aprile 2021

Immagine SITO queer

PUNTATA 1 

Queer è un vocabolo anglosassone usato dal XIX secolo in accezione dispregiativa per identificare quelle realtà “strane”, “bizzarre”, ”invertite”, “eccentriche” e tutto ciò che non risulta conforme alle pratiche sessuali e sociali imposte dalla cultura egemone/dominante.

Negli anni ‘90 del secolo scorso, assistiamo ad una svolta linguistica e alla comparsa del il  termine queer entra nel dibattito pubblico, in primis accademico, grazie alla scrittrice Teresa de Laurentis che conia l’espressione teoria queer, per poter «rielaborare o reinventare i termini della nostra sessualità» (T. De Lauretis, in «differences», 1991, p. IV).

Tra gli studiosi di scienze sociali, culturali e degli studi sulla sessualità, inizia quindi a farsi spazio questa riflessione teorica che si rifà al pensiero del filosofo Michel Foucault e in particolare nella sua Storia della sessualità. L’approccio queer può rivelarsi uno strumento importante per l’analisi critica, in quanto offre un angolo visuale non banale che permette di individuare nel soggetto sessualizzato il peso del contesto sociale in cui è inserito. 

Questa teoria viene consacrata da Judith Butler che va a decostruire la naturalità dell'identità di genere, dell'identità sessuale e degli atti sessuali, sostenendo che questi concetti e pratiche vengono costruiti socialmente e quindi, di conseguenza, gli individui non possono essere realmente descritti e incasellati secondo definizioni disposte da altri e provenienti dall’esterno.

Il termine queer si afferma appunto per definire l’indefinibile: le soggettività sono fluide, pluristratificate, spesso a cavallo tra più culture e realtà differenti, in divenire, in transito e quindi irriducibili ad una definizione. Di recente, il termine è stato riconosciuto, dalla comunità LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender) e lo vediamo inserito nell’acronimo comunitario (LGBTQ+).

PUNTATA 2

Il termine queer, non è rimasto tra le mura dell’accademia, ma si è presto fatto strada tra i movimenti sociali che hanno iniziato a rivendicarlo e farne propri i principi.

A partire dalla distinzione tra la componente biologica (il sesso) e la componente culturale (il genere), la filosofia queer cerca di portare ad un livello successivo il dibattito riguardo l’identità di genere.

Secondo Judith Butler, il genere si costruisce eseguendolo, questo concetto, che prende il nome di performatività di genere, indica la ripetizione nel tempo delle azioni e dei gesti corporei che si riscontrano nei comportamenti delle categorie sessuali: questi atteggiamenti modellano le nostre identità. 

Il genere e le sessualità sono quindi performativi, e dipendono dalle norme che regolano la nostra società che si basa sul dualismo sessuale, ovvero l'opposizione tra maschile e femminile. Il pensiero queer rigetta alla radice questo binarismo, perchè concepisce l’identità di genere e sessuale come fluida e mutevole, non come monolitica e “una volta per tutte”. 

La rivendicazione di un’identità che non sia definibile, statica e lineare parte dalla critica all’istituzionalizzazione delle identità e della sessualità in genere. L'obiettivo dei movimenti queer è quindi quello di contrastare il conformismo che marginalizza quei tratti di “trasgressione” che fanno parte di una controcultura e di un progetto di liberazione e trasformazione in cui le persone possano sentirsi libere anche di non definirsi. 

PUNTATA 3

Cosa unisce la nostra battaglia per i diritti delle donne con le rivendicazioni del movimento Queer? La risposta sta nell’ intersezionalità delle lotte!

Con il termine “intersezionalità” si indica la compresenza (o "intersezione") di diverse identità sociali e di quelle che possono essere le relative discriminazioni, oppressioni, o dominazioni.

In  tal senso, non definire categorie stabili di persone, ma invece accogliere le diverse identità che ogni persona rappresenta, è il primo passo per riconoscere le discriminazioni e le forme di oppressione che agiscono per ristabilire il modello dominante o disciplinare chi si discosta da quella che è considerata la norma.

Perciò, una stessa persona può essere discriminata in quanto donna, o per il suo orientamento sessuale, per il colore della pelle, per l'età, per l'aspetto fisico, per la sua condizione economica. Quanto più ci si discosta dal modello dominante rappresentato dal maschio bianco etero giovane abile e borghese tanto più sarà frequente subire discriminazioni o oppressioni di diverso genere.

L’intersezionalità considera le questioni legate al genere, al sesso, all’orientamento sessuale, all’origine geografica, alla cultura, alla provenienza sociale, all’abilità o alla disabilità e all’età come interconnesse. Infatti, queste forme di esclusione non agiscono in modo indipendente, ma sono strettamente legate tra loro e creano un sistema di oppressione che rispecchia l'intersezione di molteplici forme di discriminazione.

Il termine è stato proposto nel 1989 dall'attivista e giurista Kimberlé Crenshaw in un periodo di intense lotte antirazziste e femministe negli Stati Uniti.  Le femministe nere, che non si sentivano rappresentate dal femminismo americano bianco e borghese, necessitavano di nuovi strumenti concettuali che mettessero in rilievo le discriminazioni multiple da loro subite. 

L’intersezionalità rappresenta un fondamentale strumento di lettura per le discriminazioni sociali, riuscendo a collegare tra loro le diverse soggettività non conformi.

Per questo è così presente nelle rivendicazioni del movimento: ancora oggi riconoscersi queer può comportare forme di discriminazione in ogni ambito della società, come: salute, lavoro, educazione, famiglia, relazioni sentimentali e amicali, ecc...

PUNTATA 4

La riflessione sul genere assume una connotazione politica e che parte dal riconoscimento che esistono rapporti di potere diseguali che si manifestano attraverso la sopraffazione e la violenza.

Il predominante coinvolgimento di uomini nelle violenze contro le minoranze sessuali è stato riscontrato da tutte le ricerche che si sono occupate di attacchi contro gay, persone T, lesbiche, bisessuali, queer, ecc… 

Una lettura di questi eventi come semplici crimini di odio rischia di oscurare sia la radice culturale e sociale che la particolare interazione di genere tra aggressore e vittima. 

Invece di interpretare gli attacchi omotransfobici come dovuti esclusivamente ai pregiudizi verso una minoranza, può essere utile leggere queste violenze in relazione ai rapporti tra i generi. 

Così emergerebbe la connessione tra fenomeni come la violenza omofoba, transfobica e contro le donne come un tipo particolare di violenza che rifiuta l’alterità e mira a confermare una struttura gerarchica e di dominio tra i sessi e i generi.

Infatti, donne e soggettività non conformi LGBTQIA+ vengono discriminate e subiscono violenza proprio perché vivono nello stesso sistema patriarcale ed eteronormato.