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Donna vita e libertà: le lotte delle donne in Medio Oriente

In Iran nel mese di Settembre del 2022 si è creato uno dei movimenti di ribellione più importanti nella storia del paese. Le manifestazioni hanno preso il via dalla morte di Mahsa Amini, la ventiduenne curda morta in circostanze sospette dopo l’incarcerazione da parte della polizia morale. La Gasht-e-Ershad,o polizia morale,  è un corpo di polizia che ha il compito di arrestare coloro che violano le norme sull’abbigliamento e sulla segregazione sessuale: nel caso di Mahsa Amini infatti l’arresto è stato motivato sostenendo che la ragazza avrebbe indossato l’Hijab in maniera scorretta. La polizia si dichiara non responsabile della morte di Mahsa Amini, ma diverse testimonianze oculari e ferite sul corpo della ragazza dimostrano che è stata vittima di un pestaggio in seguito all’arresto.

In poche ore la vicenda è diventata il simbolo dell’oppressione delle donne iraniane, che nei giorni e nei mesi successivi si sono organizzate e hanno manifestato contro l’imposizione del velo e contro tutte le ingiustizie che sono costrette a subire dal governo autoritario degli Ayatollah.

Alle manifestazioni accomunate dallo slogan “Jin Jiyan Azadi” (Donna, Vita, Libertà) hanno partecipato inizialmente moltissime giovani donne,  alle rivolte si sono poi aggiunti anche uomini, lavoratori e studenti. Le azioni all’interno del movimento sono diventate il simbolo della rivolta: Le donne che camminano senza il velo, bruciano i foulard, o tagliano i capelli in segno di lutto per la morte di Mahsa Amini. La repressione delle manifestazioni è stata violenta: ogni giorno si sono contati numerosi morti e feriti e tantissimi manifestanti sono stati mandati nelle carceri, in particolare a Evin, una prigione quasi completamente dedicata a dissidenti della Repubblica islamica.

 Secondo quanto riportato da attivisti iraniani di Human Rights Activists News Agency (HRANA),  i manifestanti uccisi sarebbero almeno 451, tra cui 64 minori, oltre 18 mila gli arresti, 159 le città coinvolte nelle proteste e 143 le università in sciopero.Secondo un report di Novembre stilato da Amnesty International ci sono state 21 condanne a morte con l’intento di intimorire i ribelli e bloccare le manifestazioni. Altre fonti riportano di numerose condanne a morte e possibili esecuzioni ancora in corso di giudizio.

Le proteste hanno mostrato la debolezza del governo teocratico: c’è da sottolineare che a ribellarsi è la gioventù cresciuta quando la Repubblica islamica era già stata istituita, Repubblica che avrebbe quindi fallito nel suo intento di “sedare” le ribellioni e l’influenza dei “costumi occidentali” attraverso un’educazione dei giovani che fosse di stampo fortemente conservatore e ortodossa.

A Gennaio le autorità iraniane hanno tentato di bloccare le proteste e evitare le sanzioni internazionali dichiarando di aver abolito il corpo di polizia Gasht-e-Ershad, anche se non si è ancora certi del fatto che le sue funzioni non vengano svolte da altri organi militari. Anche sulla questione dell’obbligo del velo la Guida degli Ayatollah si è mostrata spesso incerta in questi mesi, ciò ha fatto supporre che il governo dell’Iran sia in una fase di debolezza di fronte alle insurrezioni della popolazione.

Anche all’estero sportivə e personaggə si sono schieratə pubblicamente dalla parte delle manifestanti, rendendo sempre più persone, anche in occidente, coscienti di ciò che stava accadendo.

Da Ottobre le proteste in Iran si sono fermate, probabilmente anche perchè le esecuzioni hanno spaventato i manifestanti, e il regime sembra aver riacquistato una parte del suo potere sulla popolazione. Le abitudini delle donne però non sono più le stesse, senza il controllo autoritario della polizia sono sempre più numerose coloro che camminano senza velo per le strade delle città.

Mahsa Amini era curda, pertanto è stata vittima di una doppia discriminazione: era una donna e apparteneva allo stesso tempo a una minoranza etnica. Nella zona del  Kurdistan iraniano ci sono state massicce mobilitazioni della popolazione a seguito della morte della ragazza. I curdi hanno manifestato da dopo il funerale e sono riusciti a far indietreggiare la polizia, che nel frattempo ha sparato e lanciato gas lacrimogeni sulla folla.Il governo iraniano ha sedato le ribellioni dei curdi in maniera molto più dura rispetto a quanto successo nel resto del paese, per far intendere alla popolazione che da sempre si prepara a una lotta per l’indipendenza, che Teheran è pronta a iniziare una vera e propria guerra per negare l’autonomia al Kurdistan. I curdi Iraniani sono meno organizzati rispetto a quelli siriani, iracheni e turchi, perciò hanno chiesto ai gruppi curdi dei paesi vicini le armi per difendersi dagli attacchi del governo iraniano.

Il governo teocratico sciita che guida l’Iran ha ragione a temere le lotte dei curdi, in quanto essi hanno dimostrato, soprattutto in Siria ed Iraq, di essere capaci di organizzarsi autonomamente sotto una forma di governo nuova, detta Confederalismo Democratico. Questo modello è stato teorizzato da Abdullah Öcalan, leader del PKK (Partito dei Lavoratori Curdi) che adesso si trova in carcere in Turchia, e messo in pratica in Rojava (territorio di amministrazione curda in Siria). Il confederalismo Democratico si basa su tre principi: democrazia diretta, ecologia e femminismo. Secondo Öcalan per mettere in atto la democrazia diretta lo stato deve essere sostituito da assemblee locali autonome, riunite per decisioni collettive in assemblee federali, i cui membri sono eletti da ogni assemblea locale. Il principio ecologista è esplicitato come la volontà di costruire una società completamente ecologica, obiettivo che purtroppo non è stato raggiunto a causa della necessità di difendere il territorio dagli attacchi dei fondamentalisti e dei governi dei paesi vicini.

Il principio del femminismo viene messo in pratica con l’inclusione delle donne nelle forze armate, come la creazione della YPJ, unità di protezione delle donne, milizia composta solo da donne che combatte per difendere il Rojava dall’ISIS. Per mantenere la parità in ogni ambito, tutte le istituzioni devono avere co-president* di ogni sesso e in tutto il territorio si applicano leggi paritarie sul matrimonio civile, il divorzio e per le eredità. Il principio di parità su cui si basa la legge del Rojava mette in forte crisi i governi del medio-oriente perchè dimostra che il superamento di una visione ultra-conservatrice e patriarcale è possibile anche all’interno del loro panorama culturale.

Lo slogan “Donna, Vita, Libertà” collega con un unico filo rosso tante rivendicazioni e lotte diverse, tutte accomunate dal fatto che sono le donne a schierarsi in prima linea per difendere la loro libertà con coraggio, anche se dall’altra parte c’è una società che cerca di farle tacere in tutti i modi.