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Come non parlare delle donne (o di come parlarne male)

23 Maggio 2017

Collage Fotor OK

Quando la cronaca si occupa di donne che vengono uccise, stuprate, molestate, insultate da uomini, spesso lo fa utilizzando un linguaggio da bar di periferia. Il metodo migliore per ottenere un clic. A ogni singola violenza che riguardi una o più donne, con la complicità morbosa del loro pubblico, i media mettono in scena una dinamica macabra che sembra non avere né vergogna né rispetto. 

Le immagini disperate dei luoghi del delitto. Le forze dell’ordine attorno al cadavere. Le lenzuola bianche a coprire il male. Macchie rosse. I parenti con gli occhiali scuri e le lacrime sui volti sconvolti. Raccontare il delitto come fosse un film. Come era vestita, quanto era truccata, quanto era spogliata, quanto era bella, quanto era brava. Ha urlato? Ha detto di no? Ha chiesto aiuto? 

O, magari, poteva pensarci prima a girare di notte da sola, o evitare di far entrare in casa o in macchina uno sconosciuto, uno straniero, con quella faccia poi… 

Ah no, era giorno, ed era un conoscente. Un amico. Un amante. Un fratello. Un padre. Un assassino. 

Ma, sicuramente preda di un raptus, lui. O di un rifiuto, povero. O di un tradimento, addirittura. Devono sfogarsi, ‘sti uomini. E allora, ecco la risposta. Che non sempre è premeditata, magari è un colpo di testa. Fa caldo… 

E tra l’altro, anche volendo pensare a un gesto non premeditato, ci chiediamo se ci sia qualcosa che possa ridurre la gravità di un gesto violento e irreparabile come un assassinio. Che lo renda accettabile socialmente o mediaticamente. Che lo assolva, nel nome dei clic. 

Cosa avrà mai passato questo poveretto che si è trovato a dover ammazzare una donna? Che brutta vita. Avrà avuto le sue ragioni. Sarà stato geloso o mosso dalla passione - siamo italiani, dopo tutto. Questo è ciò che siamo portati a chiederci leggendo i giornali, guardando la televisione, navigando in internet, sentendo e leggendo i commenti di e su chi ne parla o ne scrive. L’ignoranza strutturale e morale quando si parla di donne porta velocemente la discussione ad affogare in un abisso di bassezze e luoghi comuni, che vengono perpetrati e alimentati dalla cultura del mercato, per il mercato. 

Quasi sempre coloro che tentano di raccontare in modo corretto fatti così spregevoli, senza cedere alla spettacolarizzazione e alle facili letture, rimangono sullo sfondo. Vincono quelli che la sparano più grossa. Non avere rispetto per una donna e la sua condizione, spettacolarizzare le tragedie, attira clic e di conseguenza soldi, inserzionisti. 

Come si sa, pecunia non olet

Chi tenta di parlare “bene”, razionalmente e approfonditamente di qualcosa ne limita la sua comprensione a un pubblico più ampio. Complica lo scenario. Lo problematizza. Mette dei paletti che risultano chiari, il più delle volte, solo per chi li pianta, e non per chi li guarda, che invece ha bisogno di categorie semplici, di visioni certe e giudizi assoluti, dati in due minuti, “di pancia”, seguendo “il senso comune”. 

Fare di meglio è praticamente una scelta politica, in perdita, che di questi tempi è molto più che coraggiosa: è un investimento sul futuro che ha bisogno di moltissime risorse e che offre scarsissimi risultati. Chi mai potrà riuscirci? Noi. O nessuno. E se mai ne saremo capaci, sarà comunque un processo lento e faticoso, distruttivo e istruttivo, in cui la scuola sarà parte fondamentale per la formazione di uomini e donne rispettosi di sé stessi e degli altri. E delle altre. Ché pure la lingua stupenda che ci ritroviamo a parlare è intrisa di sessismo. 

Ma, come cambiano le lingue, cambiano anche le società e le culture, e la speranza è che questi cambiamenti avvengano prima possibile. Ed è per questo che ancora non ci arrendiamo, che esigiamo un linguaggio corretto e rispettoso. E che siamo pronte e pronti a farci sentire, anche se raccoglieremo meno clic di chi vive di ignoranza. Con nessuna paura, andremo avanti. Passo dopo passo, cambieremo questo modo di vedere le cose. 

Non c’è altra via, se non crescere. E provare a conoscere e conoscersi a fondo, per comunicare meglio e cambiare il nostro mondo, in meglio, affinché anche le donne siano libere di essere e avere. Sperando inoltre di leggere, ascoltare e vedere pubblicate sempre meno cose disgustose e imbarazzanti, da parte di chi dovrebbe aiutare le persone a formarsi un’opinione, facendo informazione. Ché di giornalisti e giornaliste che sanno fare bene il loro lavoro ce ne sono. Diamo loro più spazio. Diamo loro più clic. Togliamoli a chi non se li merita. Sarà un bene per tutti, e per tutte.